Discutere di uguaglianza o di disuguaglianza può sembrare una discussione ovvia, scontata. Chi non è d’accordo che uno dei valori supremi della nostra civiltà sia quello dell’uguaglianza? Del resto, la democrazia che connota la nostra civiltà dell’occidente si fonda proprio sul principio dell’uguaglianza di tutti i cittadini. Ma siamo proprio sicuri che interrogarci sull’uguaglianza sia così ovvio?
Che cosa significa uguaglianza? Di quale uguaglianza parliamo? Usiamo spesso questa parola per rivendicarne un significato preciso. Ma siamo proprio sicuri di intendere la stessa cosa? Perché di uguaglianza si può parlare in tanti modi e con significati diversi.
Sappiamo innanzitutto di essere differenti già a partire dalla nostra nascita: caratteristiche fisiche, biologiche, genetiche, ereditarie, sessuali, testimoniano la disuguaglianza. Anche in base alle condizioni e al contesto e luogo di nascita, alle diverse opportunità che la vita ci riserva o ci toglie, a volte non possiamo accedere alle stesse condizioni degli altri; chi ha vissuto sulla propria pelle le conseguenze delle disuguaglianze sociali vive con una certa sofferenza la retorica dell’uguaglianza. Allora, siamo davvero uguali? Assolutamente no.
Il lungo cammino del diritto all’uguaglianza
L’uguaglianza è definita “la condizione di pari dignità, senza distinzione di privilegi, tra tutti i cittadini di uno stato o tra tutti gli uomini”. Questa idea di uguaglianza che è alla base di tutte le dichiarazioni dei diritti – da quella francese del 1789 a quella dell’ONU del 1948, è un’idea quasi recente. Affinché non ci fossero equivoci nel rispettare le differenze che vi sono tra persone e popoli a livello mondiale, nel 1975 si è affermato anche il diritto alla differenza per riconoscere a tutti una pari dignità. La rivoluzione inizia nel 17° secolo.
Fino ad allora il pensiero politico aveva preso atto delle disuguaglianze naturali come presupposto delle disuguaglianze sociali. Esse nascono, come spiega Rousseau, quando pochi esseri umani cominciano a possedere terre, animali e oggetti che creano società gerarchiche. Le caste sacerdotali prima, poi i filosofi e i poeti sanciscono, attraverso le parole, l’ordine divino delle differenze gerarchiche tra nobili e plebei, tra uomini e donne, tra genitori e figli. La democrazia che governa ad Atene nel V sec. a.C. è un regime fondato sull’uguaglianza che significa riconoscimento delle naturali disuguaglianze: questa è la giustizia. La politica non può far altro che rispecchiare queste disuguaglianze naturali poiché è evidente che gli esseri umani sono tutti diversi.
Solo con lo stoicismo si inizia a diffondere l’idea che tutti gli uomini siano uguali e debbano godere di pari diritti, ma è con l’avvento del cristianesimo che questa idea trova il più grande riscontro.
Infatti, nella teologia cristiana, tutti gli uomini sono uguali perché figli dello stesso Dio. Purtroppo, in epoca medievale la dottrina della chiesa di Roma non predica la fine delle condizioni disuguali nella vita terrena; anzi riconosce la giustizia di ordini politici -impero e monarchie- fondati su un ordinamento sociale gerarchico. I nobili e il clero hanno privilegi e libertà che agli altri ceti non sono riconosciuti. Questa concezione dell’ordine politico viene messa in discussione a partire dal 17° sec. di fronte alle guerre civili di religione.
Infatti, tra il 17° e il 18° secolo, in Inghilterra Hobbes e Locke, in Francia Rousseau, in Germania Kant affermano che gli uomini sono in natura liberi ed eguali e pongono l’origine dello Stato in un accordo volontario. Col diffondersi dei principi dell’Illuminismo, si comincia a vedere l’uguaglianza come qualcosa che lo Stato deve riconoscere e tutelare. Quindi, la grande novità che fonda la rivoluzione dell’uguaglianza è basata sull’idea dei diritti naturali. Non importa più se ci sono disuguaglianze alla nascita (maschi/ femmine, liberi/schiavi, ricchi/poveri ecc.), abbiamo però tutti gli stessi diritti.
Lo strumento per garantire tutto ciò è la legge. Quindi senza le leggi e l’obbligo di farle rispettare non è possibile alcuna uguaglianza, libertà e giustizia. Ecco perché questi tre principi possono realizzarsi solo attraverso la politica (Stato) a prescindere dalla concezione della natura umana .
Da un punto di vista politico si svilupparono diversi orientamenti che possono essere raggruppati in due modelli a seconda della importanza prioritaria data o alla libertà o alla uguaglianza /fraternità.
L’uguaglianza nel mondo è garantita a tutti?
Nella maggior parte delle democrazie occidentali è prevalso il modello liberale che in campo economico ha affermato il capitalismo e il liberismo/neoliberismo dei mercati che, in una prima fase, ha consentito e offerto una maggiore possibilità di sviluppo economico per tutti. In alcuni paesi, soprattutto del Nord Europa, si sono affermate le social-democrazie che hanno cercato di ridurre le disuguaglianze iniziali garantendo a tutti una serie di diritti sociali:istruzione, salute, pensione, assistenza. Nei paesi in cui si sono affermati i governi comunisti, essi, purtroppo, si sono imposti attraverso le dittature che non hanno garantito la libertà e la giustizia, che sono i presupposti dell’uguaglianza, con la conseguenza della fine di essi a vantaggio del modello liberale.
Nei primi anni del 21° sec., si pensava e si sperava che la globalizzazione avrebbe aumentato il benessere economico nel mondo , garantendo una maggiore uguaglianza sostanziale a tutti. Oggi sembra che questa speranza potrebbe non avverarsi. Infatti sono talmente aumentate le disuguaglianze tra le persone fino al punto che l’1% della popolazione mondiale possiede metà della ricchezza del pianeta.
Questa situazione potrebbe ancora aggravarsi per effetto delle innovative tecnologie informatiche e biotecnologie che, grazie all’automazione robotica, sostituiranno, nel giro di 20 anni, miliardi di lavoratori in ogni ambito professionale.
A questo punto siamo obbligati a concludere che l’uguaglianza è un principio astratto e che essa non potrà mai essere raggiunta dal momento che tutte le forme di governo attuate non sono riuscite a garantirla?
Qual è il compito fondamentale della politica?
È la ricerca del bene comune. Chi fa politica svolge una missione che è più grande, più importante di quella di un medico: il medico cura gli individui; il politico cura la collettività. Il politico dovrebbe essere un servitore, non un funzionario. Qualcuno che ha sviluppato una responsabilità di sé così grande da potersi assumere in parte quella degli altri. Democrazia dovrebbe quindi essere aristocrazia, governo dei migliori, dei più responsabili, dei più integerrimi, dei più capaci. La democrazia è ormai spesso scaduta in cachistocrazia, governo dei peggiori, dei più arrivisti, dei più abili a mentire. Infatti la democrazia non è compatibile con un’eccessiva diseguaglianza di ricchezze e con l’aumento della povertà.
Non ci sarà mai UGUAGLIANZA per tutti? Che FARE?
Ripartire da sé. Scoprire che dobbiamo avere cura dello stato perché lo stato siamo noi e forse le colpe che attribuiamo ai politici appartengono a tutti noi. Il popolo siamo noi, che non essendo più noi stessi, non siamo neppure più popolo, ma plebe, pronta a sottomettersi per paura o per seduzione, ad ogni forma di potere dominio che salga a calcare la scena.
Dentro di noi c’è tutto quello che ci serve per essere liberi: abbiamo la nostra coscienza, la nostra possibilità di pensare bene. Ma quando ce ne viene offerta l’occasione, la rifiutiamo, perché è più comodo, confortevole, piacevole assecondare la corrente delle debolezze umane, che non risalirla per riconquistare la virtù, la dignità, la nostra vera forza. Generazioni di cattivi maestri ci hanno educato a sentirci deboli, fragili, bisognosi di disciplina, di guida, incapaci di riflettere, di pensare in modo autonomo. Per renderci indifferenti alla nostra e all’altrui sofferenza, derivante anche dall’ingiustizia crescente sono stati inventati i reality show, i centri commerciali e ogni forma di «divertissement», di pascaliana memoria.
Allora non restiamo più «indifferenti»!!! Cominciamo a pensare in modo divergente, partecipando al laboratorio “Filosofia come arte di vivere” per aiutarti a pensare bene e acquisire maggiore consapevolezza.