“Cultura significa anzitutto creare una coscienza civile, fare in modo che chi studia sia consapevole della dignità. L’uomo di cultura deve reagire a tutto ciò che è offesa alla sua dignità, alla sua coscienza . Altrimenti la cultura non serve a nulla.” Sandro Pertini
Siamo consapevoli di vivere nella società dello spettacolo?
Possiamo definire la società in cui viviamo la società dello spettacolo, in quanto c’è la tendenza ad attirare l’attenzione e ad esibirci come se fossimo su un palcoscenico davanti ad un pubblico che ha bisogno di divertirsi.
I vari social ci hanno dato l’illusione e fatto credere che tutti possiamo essere attori protagonisti e quindi cerchiamo di farci notare facendo a gara a chi scandalizza e grida più degli altri. Questo è possibile perché viviamo in una società globalizzata, senza frontiere, per quanto riguarda le merci e la comunicazione, che sta creando, per la prima volta nella storia, prodotti e conoscenze che accomunano società e individui dei cinque continenti, i quali vengono uniformati, nonostante le diverse tradizioni, religioni, credenze e lingue.
L’industria del mercato globale cerca di offrire nuovi prodotti che hanno lo scopo di procurare piacere, divertire, distrarre, creando nel contempo nuovi bisogni artificiali da soddisfare con la moltiplicazione delle merci e delle offerte che l’individuo-consumatore può scegliere, illudendosi di essere libero.
Qual è il nuovo modello di cultura?
Anche la cultura vuole divertire e raggiungere il maggior numero di persone per offrire loro i vari prodotti e oggetti culturali. La gente compra un libro, va al cinema o teatro, accende la TV, naviga in internet allo scopo di godere, di svagarsi, di divertirsi e distrarsi e non per occuparsi dei problemi. Il pubblico va alla ricerca di emozioni forti e non vuole approfondire le questioni serie, vuole abbandonarsi a uno svago superficiale e senza pensieri.
La cultura è funzionale a questo nuovo paradigma sociale e lo svolge con estrema coerenza e disinvoltura. Per esempio, nel campo della politica, essa invece di costringere i politici a mantenere standard di eccellenza e di integrità, contribuisce a stimolare e far venire fuori ciò che vi è di peggiore.
Possiamo affermare che la politica, degli ultimi trent’anni, con il favore degli intellettuali di moda, ha sostituito le idee e gli ideali, il dibattito intellettuale con la pubblicità e gli slogan. Pertanto, la popolarità e il successo si conquistano, non con l’intelligenza e la integrità morale, quanto attraverso la demagogia e la bravura mediatica. In questa civiltà dello spettacolo, pur di guadagnare la visibilità e il consenso di un pubblico consumatore e avido di svago, politici, intellettuali, esperti e tuttologi ricorrono ai peggiori stratagemmi quali il pettegolezzo, lo scandalo sessuale, la violenza verbale.
E le cose peggiorano perché il giornalismo, invece di esercitare la propria funzione di controllo, si dedica a intrattenere lettori, ascoltatori e telespettatori con notizie scandalistiche e discussioni banali e superficiali.
Tutto ciò favorisce un atteggiamento indifferente verso qualsiasi forma di comportamento e intollerante nei confronti dei non-conformi ai costumi e ai modelli consumistici.
Quali sono i valori della società dello spettacolo?
Forse il valore supremo della società dello spettacolo è fondato sull’avere che permette la soddisfazione dei bisogni materiali e che rappresenta la misura esclusiva del fallimento o successo delle persone.
Il paradigma capitalistico ha certamente vinto e ha trasmesso l’illusione di felicità nel qui ed ora, cioè nel consumo, nell’abbondanza di merci che regalano a chi ha i mezzi l’illusione del Paradiso in Terra.
Non abbiamo mai vissuto in un’epoca così ricca di beni materiali, di conoscenze scientifiche e di scoperte tecnologiche che sono state in grado di sconfiggere tante malattie, l’ignoranza, la povertà e ci garantiscono un certo benessere materiale.
Siamo felici nella società dello spettacolo?
Possiamo con tutta onestà affermare che stiamo bene, che siamo soddisfatti?
Perché sono in aumento le depressioni, le malattie psichiche e degenerative?
Perché ci sentiamo confusi, a disagio e impauriti? Che cosa ci manca?
Forse il solo benessere materiale personale non può essere l’unico fine della vita perché abbiamo bisogno di trovare un senso più elevato che dia significato alla nostra fatica quotidiana.
Purtroppo, la maggior parte delle attività culturali hanno il vanto di essere “buone” a priori, perché ci rassicurano e ci consolano, anziché destare in noi una reattività al presente, l’urgenza di rompere le ingiustizie, dare voce a chi non ce l’ha, denunciare il falso, prendere le difese dei deboli, ricreare legami sociali e comunitari.
Forse la cultura nella odierna società dello spettacolo non riesce a dare risposte alle eterne domande esistenziali. Essa, ridotta a divertimento, distrazione, evasione, non svolge più la funzione di trasformazione ed elevazione morale delle coscienze e quindi non è più capace di criticare l’esistente per dire che un altro mondo è possibile.
Essa ha abdicato alla sua funzione di guidare le persone alla ricerca di un senso o uno scopo per affrontare l’inquietudine del vivere.
Allora che aspetti? Comincia a pensare in modo divergente, partecipando al laboratorio “Filosofia come arte di vivere” per aiutarti a pensare bene e acquisire maggiore consapevolezza.