Qual è la causa della violenza sulle donne?
La violenza degli uomini sulle donne, ormai ne siamo consapevoli, non può essere considerata come patologia di pochi, né come raptus di innamorati delusi, né come il segno di culture lontane da noi: nasce nella nostra normalità.
Non c’è dubbio che bisogna condannare la violenza degli uomini sulle donne, anzi ogni forma di violenza e che il colpevole debba essere punito. Ma condannare la violenza senza riconoscere la matrice culturale che la produce e la giustifica, è un gesto vuoto, che finora non ha portato né all’eliminazione, né alla riduzione della violenza.
Intanto dobbiamo solo prendere atto che la storia dell’umanità è soprattutto la storia del dominio, della sopraffazione, della lotta degli uomini sulla natura, sugli animali e anche su altri esseri umani per molteplici ragioni. Insomma, una storia di guerre e di violenze che ancora continua…
Questa è la cultura che ci portiamo dietro e che possiamo definire cultura maschilista che condiziona sia gli uomini che le donne in mille modi diversi. Spesso in occasione di violenze fisiche o femminicidi, soprattutto se compiuti all’interno di una relazione di coppia, la cultura nella quale siamo immersi ci insegna a considerare le donne come proprietà e i limiti che esse pongono ad una relazione sentimentale come ostacoli da superare.
Non dobbiamo neanche dimenticare la responsabilità e il ruolo dei media nel confermare molti pregiudizi sessisti allo scopo di convincere le donne che l’abuso è romantico, che la violenza è legittima quando c’è la passione.
Qual è il modello della cultura maschilista?
La violenza maschile contro le donne è il frutto della cosiddetta cultura maschilista sessista: l’uomo oggi purtroppo è educato, come 60 anni fa.
C’è un modello ben preciso a cui fin dalla nascita ogni bambino e bambina sono sottoposti attraverso la trasmissione di modelli comportamentali che riproducono dei ruoli fissi che i bambini apprendono per imitazione: si tratta di un modello che condizionerà anche la futura vita adulta. Modello che è rinforzato dalla pubblicità dei mass-media. Infatti i ruoli dei maschi e delle femmine sono sempre ben distinti e sempre gli stessi.
L’uomo deve essere forte, virile (non deve piangere, non deve chiedere mai), seduttore, ambizioso, aggressivo, ossessionato dalle prestazioni sessuali e che deve avere/possedere più donne: si tratta della sindrome del sultano che per i maschi è accettata e considerata una cosa normale e “positiva” a differenza della donna che è definita di facili costumi se ha avuto più uomini.
Non è bastata l’era della liberazione sessuale, con i mutamenti socioculturali della coppia e della famiglia a liberare la donna dagli stereotipi su cui si gioca l’immagine del corpo femminile nelle pubblicità che ricalca i modelli di donna-madre, rassicurante angelo del focolare o di donna-sexy oggetto, utilizzata per reclamizzare qualsiasi tipo di prodotto. La pubblicità quindi, esprime e contribuisce a creare una cultura di cui troppo spesso anche le stesse donne rischiano di essere fruitrici passive e inconsapevoli.
Anche le fiabe e i giochi contribuiscono a trasmettere dei modelli stereotipati dei ruoli. La donna nelle fiabe è associata agli spazi chiusi, come la casa, alla cura della famiglia, in attesa dell’incontro con il principe azzurro;
l’uomo, invece, è associato al valore della scoperta, dell’avventura, dell’azione, del comando, i suoi spazi sono aperti. Così dicasi per i giocattoli: quelli per le bambine sono legate alla cura della casa e della bellezza del corpo, quelli per i maschietti alle auto, costruzioni, lotta e armi.
Come liberarsi della violenza degli uomini sulle donne?
Non è pensando di eliminare gli uomini o aumentando le pene a misfatti compiuti che deve essere cercata la soluzione. C’è bisogno di costruire una nuova cultura che permetta di superare l’odierna crisi identitaria dei maschi che produce in loro un disagio, che non sanno affrontare, per cui le loro compagne sono spesso fatte oggetto di violenza per l’autonomia comportamentale che esse intendono esercitare e alla quale l’uomo deve essere educato, in modo che alla identità maschilista si sostituisca una identità maschile che insieme con la donna si riconosca nella comune “identità umana”. Cioè, una visione incentrata sulla persona e volta alla sua realizzazione attraverso una alleanza nuova tra uomo e donna che promuova una cultura della collaborazione che andando al di là degli stereotipi tradizionali, permetta di affrontare la nuova complessità antropologica.
E’, questo, il nuovo traguardo, cui guardare, per cercare di superare sia il vecchio pregiudizio basato sulla presunta inferiorità della donna, sia il nuovo che si va affermando di una superiorità di essa nei confronti dell’uomo. Violenza e pregiudizio vanno combattuti, imparando un atteggiamento univoco: di riconoscimento e di rispetto reciproci.
Per questo dobbiamo impegnarci tutti a scoprire e riconoscere quanto la nostra cultura sia caratterizzata ancora da una mentalità maschilista, ricca di stereotipi discriminanti, espressi nelle storie, nelle immagini, nei proverbi, nei film, nelle pubblicità, nei comportamenti. In sostanza anziché essere agiti dai pregiudizi stereotipi, dobbiamo essere noi ad agire su di essi, verificandone la loro utilità o meno.
La ricerca di ciò è il primo passo che ognuno di noi può compiere e che porterà verso un cambiamento prima di tutto interiore e poi della relazione uomo-donna.