La violenza degli uomini sulle donne, ormai ne siamo consapevoli, non si può liquidare come patologia di pochi emarginati, né come raptus di innamorati delusi, né come il segno di culture lontane da noi: nasce nella nostra normalità.
Non c’è dubbio che bisogna condannare la violenza degli uomini sulle donne, anzi ogni forma di violenza, e che il colpevole debba essere punito. Ma condannare la violenza senza riconoscere la cultura che la produce e la giustifica, è un gesto vuoto, che finora non ha portato né all’eliminazione, né alla riduzione della violenza. Intanto dobbiamo solo prendere atto che la storia dell’umanità è soprattutto la storia del dominio, della sopraffazione, della lotta degli uomini sulla natura, sugli animali e anche su altri esseri umani per molteplici ragioni. Insomma una storia di guerre e di violenze che ancora continua… Questa è la cultura che ci portiamo dietro e che possiamo definire cultura maschilista che condiziona sia gli uomini che le donne in mille modi diversi.
La violenza maschile contro le donne è il frutto della cosiddetta cultura maschilista sessista: l’uomo oggi purtroppo è educato, come 60 anni fa. C’è un modello ben preciso a cui fin dalla nascita ogni bambino e bambina sono sottoposti attraverso la trasmissione di modelli comportamentali che riproducono dei ruoli fissi che i bambini apprendono per imitazione: si tratta di un modello che condizionerà anche la futura vita adulta. Modello che è rinforzato dalla pubblicità dei mass-media. Infatti i ruoli dei maschi e delle femmine sono sempre ben distinti e sempre gli stessi. L’uomo deve essere forte, virile (non deve piangere, non deve chiedere mai), seduttore, ambizioso, aggressivo, ossessionato dalle prestazioni sessuali. Non è bastata l’era della liberazione sessuale, con i mutamenti socioculturali della coppia e della famiglia a liberare la donna dagli stereotipi su cui si gioca l’immagine del corpo femminile nelle pubblicità che ricalca i modelli di donna-madre, rassicurante angelo del focolare o di donna-sexy oggetto, utilizzata per reclamizzare qualsiasi tipo di prodotto. La pubblicità quindi, esprime e contribuisce a creare una cultura di cui troppo spesso anche le stesse donne rischiano di essere fruitrici passive e inconsapevoli.
Anche le fiabe e i giochi contribuiscono a trasmettere dei modelli stereotipati dei ruoli.
La donna nelle fiabe è associata agli spazi chiusi, come la casa, alla cura della famiglia, in attesa dell’incontro con il principe azzurro; l’uomo, invece, è associato al valore della scoperta, dell’avventura, dell’azione, del comando, i suoi spazi sono aperti. Così dicasi per i giocattoli: quelli per le bambine sono legate alla cura della casa e della bellezza del corpo, quelli per i maschietti alle auto, costruzioni, lotta e armi.
C’è dunque bisogno di costruire una nuova cultura paritetica che permetta di superare l’ odierna crisi identitaria dei maschi che produce in loro un disagio, che non sanno affrontare, per cui le loro compagne sono spesso fatte oggetto di violenza per l’autonomia comportamentale che esse legittimamente intendono esercitare.
L’uomo deve essere educato, in modo che alla “identità maschilista” si sostituisca una “identità maschile” che con la “identità femminile” si riconosca nella comune “identità umana”, cioè di persone. E’, questo, il nuovo traguardo, cui guardare, per cercare di superare sia il vecchio pregiudizio basato sulla presunta inferiorità della donna, sia il nuovo che si va affermando di una superiorità di essa nei confronti dell’uomo.
Per questo dobbiamo impegnarci tutti a scoprire e riconoscere quanto la nostra cultura sia caratterizzata ancora da una mentalità maschilista, ricca di stereotipi discriminanti, espressi nelle storie, nelle immagini, nei proverbi, nei film, nelle pubblicità, nei comportamenti. In sostanza anziché essere agiti dai pregiudizi stereotipi, dobbiamo essere noi ad agire su di essi, verificandone la loro utilità o meno. La ricerca di ciò è il primo passo che ognuno di noi può compiere e che porterà verso un cambiamento prima di tutto interiore e poi della relazione uomo-donna.
Quindi il problema della violenza sulle donne, di qualsiasi forma di violenza, deve diventare il problema dell’educazione. La violenza è la più grande forza diseducativa che esista. Occuparsi di come uscire dalla violenza significa andare al centro dell’educazione. Un centro dal quale si svilupperanno la qualità della relazione con l’altro, l’economia, la politica, la cultura.