Quando ho letto il saggio di Byung Chul Han, La società senza dolore, ho provato una reazione non tanto piacevole, per non dire di fastidio.
Pur essendo un autore che apprezzo moltissimo, per le approfondite e lucide analisi della società di oggi, la lettura di tale saggio ha provocato una presa di distanza e alcune domande:
Algofobia e/o iperalgesia?
Sono sinonimi o sono in correlazione?
Tema eterno di riflessione è la presenza nel mondo del dolore. Filosofi, poeti, scienziati, medici se ne sono sempre occupati:
Non abbiate paura del dolore, o finirà o vi finirà. (Seneca)
Tutti gli uomini sanno dare consigli e conforto al dolore che non provano. (William Shakespeare)
Incominciai anche a capire che i dolori, le delusioni e la malinconia non sono fatti per renderci scontenti e
toglierci valore e dignità, ma per maturarci. (Hermann Hesse)
Ma nonostante la sua inevitabilità, di fronte ad esso l’uomo non può che angosciarsi e soffrire. Quante volte ho trattato questo argomento nei miei corsi di filosofia! Ero convinta che l’offrire il mio aiuto e l’eccessiva sensibilità al dolore degli altri scaturisse dagli studi, le ricerche e le esperienze, non molto piacevoli, della mia vita.
Genealogia del dolore
Non voglio tediare con il racconto delle mie esperienze di dolore. Voglio solo evidenziare che quelli della mia generazione e precedenti, avevano appreso l’etica del dolore.
Per secoli le donne avevano memorizzato il castigo di Dio: “Moltiplicherò la sofferenza delle tue gravidanze e tu partorirai figli con dolore. Eppure, il tuo istinto ti spingerà verso il tuo uomo, ma egli ti dominerà!” (Quanto hanno influito tali insegnamenti sulle disuguaglianze di genere, sociali e culturali?)
Insomma, la cultura religiosa aveva plasmato così bene le menti da farci considerare ogni forma di sacrificio come via di accesso ad un premio futuro nell’aldilà.
Quando ho letto la frase di Han che “una caratteristica cruciale dell’odierna società è quella di percepire il dolore come privo di senso”, mentre, invece “la narrazione cristiana fungeva da narcotico o stimolante divino”, mi sono sentita offesa per tutto quello che le donne e i disagiati avevano subito a causa della distorta narrazione cristiana.
La mia recente esperienza del dolore
Quest’anno alla fine di agosto, dopo essere rientrata dalla mia amata Sicilia (Campobello di Licata), un’acuta lombosciatalgia dx mi ha fatto fare esperienza fisica e continuativa del dolore. Per ottenere una diagnosi ho dovuto prendere atto del calvario che percorrono tanti altri malati. Da una parte ci sono le lunghe liste di attesa per ottenere un esame, una visita medica tramite il SSN (tecnologia funzionante e operatrici call center gentili). Dall’altra, posso affermare l’eccellenza della sanità lombarda perché, a pagamento (regime di solvenza), ti dà la possibilità di fare esami e visite mediche, senza liste di attesa e scegliendo il professionista con più stelle.
Insomma, un eccellente mercato dei medici e dei centri di ricerca e cure più accreditati.
Non nascondo che il dolore era aggravato dal rendermi conto in prima persona, del tunnel che si attraversa per ricevere una diagnosi corretta da parte del medico che legge il responso dell’esame, non ti vede e non ti degna di uno sguardo, limitandosi a scrivere quello che tu gli riferisci.
Insomma, per la prima volta, ho avuto piena consapevolezza che il dolore “atroce e crudele” che provavo non mi permetteva di mettere alla prova anni e anni di stile di vita sano. Ero in balia dei tormenti fisici e del calvario del consulto degli “specialisti” che definirei robot/medici senza alcuna “empatia”.